Ho da raccontarvi alcune metafore “botaniche” , piccole storie di fiori e piante, che possono insegnarci molte cose anche a livello associativo. Quale migliore occasione di questa domenica 16 luglio, durante la quale abbiamo meditato il brano del seminatore?
La prima storia riguarda i semi che, affidati ai delegati all’Assemblea Nazionale dalla Presidenza a conclusione dei lavori, abbiamo seminati insieme il 30 maggio durante il Comitato presidenti e che sono presto germogliati. Io, in qualità di Presidente, ho preso tre di quei semi e li ho messi in piena terra nella aiola di casa mia e anche quei tre semi sono già diventati piantine. Ma ho visto una grande differenza tra le piantine in vaso chiuse nella nostra sede diocesana : gracili, con uno stelo sottilissimo e stentato e sempre a rischio di seccare perché non sempre ci ricordiamo di innaffiarle; e quelle messe in piena terra: più alte, con più foglie e con lo stelo più forte. Questo mi ha fatto riflettere sul concetto di “Chiesa in uscita” tanto caro a Papa Francesco: dentro, al chiuso, si muore. E’ fuori che dobbiamo andare se vogliamo radicarci nel territorio.
La seconda parla proprio di semi nati lungo la strada: tra l’asfalto di via Sciarelle (dove abito io) e il gradino di casa mia è nata una piantina di portulaca, piccolo fiore molto comune e di facilissima coltivazione, le cui corolle si aprono al mattino col sole e si chiudono al tramonto. Nonostante le polveri, il traffico e il caldo torrido la piantina ha continuato a crescere e a fiorire (anche quattro fiori per volta!). Qualcuno ha avuto la tentazione di toglierla di là per trapiantarla in un vaso con la terra buona: ma ogni tentativo di trapianto forzato avrebbe significato la morte sicura, perché la radice non avrebbe sopportato uno stress così forte. Lasciata al suo posto invece darà il massimo che le sarà possibile: io ogni tanto la annaffio un po’ e mi godo quei fiorellini. Così anche noi non dobbiamo forzare le persone ad agire secondo i nostri desideri, ma secondo le loro possibilità.
La terza storia riguarda il titolo del testo degli adulti di quest’anno “Sottosopra”. Io ho messo in un bicchiere d’acqua tre papiri, accorciando le foglie e mettendo gli steli proprio sottosopra. Gli steli hanno messo fuori delle radici bianchissime immerse nell’acqua e dei germogli delicati che man mano sono cresciuti affacciandosi al bordo del bicchiere. Ora le piantine sono state di nuovo capovolte e interrate nel verso giusto, ma proprio lì è la fase delicata:dovranno riabituarsi a stare diritte e devo stare attenta a non farle seccare.
L’ultima storia, la più bella, riguarda i semi perduti e ritrovati. Molti anni fa mia madre aveva chiesto a una vicina di casa i semi di una piantina semplice, umile e senza nome che produceva bellissime spighe di fiorellini simili al fior di pesco: una vera festa per i balconi. Li ho sempre chiamati “fiori della signora Maridda”, dal nome della vicina che ce li aveva dati. Anch’io da sposata li ho coltivato per anni, raccogliendo i semi e conservandoli di anno in anno. Venne però il giorno che l’ultima spiga, con l’ultimo fiore e quindi l’ultimo seme, da me coltivato con grandissima cura, fu strappato per sbaglio ponendo fine a una lunga storia di fioriture. Mi rimase dentro una grande nostalgia e un grande desiderio: da allora non ho mai smesso di cercare. A molte persone ho raccontato questa storia e chiesto se avessero visto quei semi e quella pianta. Adesso finalmente li ho ritrovati: nella parrocchia di Pozzillo, dove ho raccontato questa storia qualche giorno fa, la signora Nella, alla fine dell’incontro è andata a casa e mi ha portato un piccolo involto con i semi ritrovati e un fiore ancora in boccio, l’ultimo della stagione.
Non smetterò mai di ringraziarla e non vedo l’ora che venga la stagione giusta per fare una nuova semina: mai bisogna smettere di ricordare le cose belle e mai smettere di cercarle se le abbiamo perdute. Verrà il tempo che le ritroveremo e potremo ricominciare una nuova storia.
Anna Maria Cutuli