Già da diversi giorni i telegiornali si sono occupati d’altro, ma per un po’ di tempo la notizia dominante è stata la morte di dj Fabo, evento che ha colpito tanti di noi e che ha suscitato polemiche e alimentato dibattiti sui diritti personali e sui criteri di valutazione della civiltà di un paese. Notizia da un lato sbandierata per sottolinearne la normalità e dall’altro quasi rimossa perché suscita imbarazzo e ritegno.
Io confesso di essere rimasta molto turbata da questa scelta estrema, e anch’io ho avuto la tentazione di far finta che sia una cosa normale, ma credo che non possiamo fare a meno di ragionare e di farci domande, pacatamente e serenamente dal nostro punto di vista di credenti, anche su argomenti così delicati.
Intanto per esprimere la nostra pena e la nostra pietà per questo giovane uomo sofferente e per i suoi familiari, che non hanno retto il peso immane che gravava le loro spalle. Vogliamo affidarlo alla carezza pietosa del Signore che lo consolerà sicuramente di tutto quello che ha patito.
Tanti gli interrogativi che vengono alla mente: perché di lui (e di altri come lui) si è parlato soltanto per farne un caso limite, quando ormai ogni decisione era presa? Chi ha potuto, oltre la strettissima cerchia dei suoi familiari, parlargli, dargli conforto, fargli sentire vicinanza e solidarietà, fargli intravvedere un modo altro di vivere pur nella condizione particolare in cui si trovava? Peccato non essere riusciti a regalargli motivi per amare ancora la vita senza impacchettarla in canoni prestabiliti per decidere se va vissuta o no. Interessante a questo proposito l’intervista su Avvenire.it al sacerdote che lo ha incontrato una volta e che avrebbe forse potuto fare di più in un secondo incontro che non c’è stato più tempo per fare.
Perché farne una bandiera di pretesi diritti da sbattere in faccia a noi tutti che di queste cose ci occupiamo colpevolmente troppo poco, distratti come siamo da piccolezze private più o meno inutili?
Quale linguaggio è stato usato per descrivere la sua esperienza di vita? Sofferenza, dolore, non-vita, ribellione… Ma possibile che l’unica alternativa considerata sia stata quella di spegnerla, questa vita e no quella di trovare una strada nuova per valorizzarla con fantasia e amore. Dj Fabo, da quello che abbiamo visto, era un uomo intelligente, vivace, curioso, amante della musica e dei colori; prigioniero però di un corpo inerte, come nel libro e nel film “Lo scafandro e la farfalla” che racconta una storia simile.
A lui voglio dedicare una canzone di Franco Battiato, tratta dall’album del 1995 L’ombrello e la macchina da cucire: “Breve invito a rinviare il suicidio”
“Va bene, hai ragione
se ti vuoi ammazzare
vivere è un’offesa
che desta indignazione
Ma per ora rimanda
È solo un breve invito, rinvialo”
Gli dedico pure una piccola cosa che ho scritto io sull’onda dell’emozione e che ho chiamato
“Speranza”
Sta sorgendo il sole:
ne intuisco la luce,
ne sento il calore
ad occhi chiusi.
Un cielo coperto di nuvole
Non fa per me.
Non voglio rassegnarmi al buio:
se volo più in alto
il sole splenderà per sempre.
Anna Maria Cutuli