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Di cosa siamo stati e siamo CAPACI

«Sventurata la terra che ha bisogno di eroi» esclamava amaramente il Galileo dell’opera di Bertolt Brecht dopo esser stato costretto all’abiura. Sventurato quel popolo che ha conosciuto nella sua storia pagine così scure di ignoranza, corruzione e male che sono state voltate solo grazie al sacrificio di uomini e donne che non hanno voluto piegarsi alla mediocrità e alla miseria dei vizi collettivi, che hanno scelto di non rimanere in silenzio o voltarsi dall’altra parte rifiutando qualsiasi compromesso morale in nome della giustizia, del dovere e dell’onestà.

A questi eroi moderni, “costretti” loro malgrado a diventar tali, apparteneva anche il giudice Giovanni Falcone ucciso il 23 maggio del 1992 in un attentato mafioso insieme con la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.

L’esplosione che pose fine alle loro vite li travolse all’altezza dello svincolo autostradale di Capaci. L’immagine dei due cartelli verdi che sovrastano le lamiere accartocciate dell’auto del giudice e di quelle della scorta è impressa nella mente di tutti gli italiani, anche di chi all’epoca non era ancora nato. Una freccia in avanti, direzione Palermo, l’altra laterale verso quel comune che senza volerlo ha legato per sempre il suo nome alla strage.

“Capaci” impossibile non lasciarsi trascinare dalla doppia valenza semantica e ancora oggi chiederci “di cosa siamo stati capaci?”. Anche se nessuno di noi ha azionato l’esplosione è giusto porci questa domanda per capire cosa siamo stati in grado di fare nel bene e nel male oggi come in quel giorno di 25 anni fa. Di cosa siamo capaci? Vorrei che le risposte, dopo un quarto di secolo passato a parlare di legalità, siano che siamo un popolo in grado di abbattere il muro dell’omertà, di lavorare per una società equa e giusta, di ricercare il bene prima di ogni profitto, di rifiutare la corruzione e soprattutto di sostenere chi lotta contro le storture del nostro tempo. Perché come scrisse qualche anno fa Marco Revelli sulle pagine de La Repubblica «A ben guardare, pressoché tutti gli “eroi civili” della nostra storia repubblicana sono morti in solitudine. Anzi, sono morti di solitudine. Ed è questa la ragione per cui la “figura eroica” dovrebbe, presso di noi che ci portiamo addosso questo peso, più che stucchevoli esercizi di retorica, sollecitare penosi esami di coscienza».

Marianna Puglisi

Pubblicato il 23 Maggio 2017