Ogni anno da 47 anni, un mese e due giorni dopo l’equinozio di primavera, il 22 aprile, si celebra nel mondo la Giornata della Terra. Cos’è? Un momento per parlare di ecologia, di sviluppo sostenibile, di consumo delle risorse, di riciclo, di energie alternative; una festa in onore di chi ci nutre e ci dà vita; un susseguirsi di eventi sportivi e culturali.
Ma l’affollarsi delle manifestazioni è solo una faccia di questa giornata che 175 Paesi del mondo scelgono di celebrare; c’è un’altra prospettiva da cui guardare all’Earth Day, ed è quella dei figli che danno una carezza alla propria madre quando sanno che sta soffrendo e che in qualche modo hanno contribuito a scatenare quel dolore.
Siamo stati, e lo siamo ancor oggi, figli stolti di questa Terra che abbiamo ferito compromettendo la sua esistenza e quella di ogni vivente. Per questo non possiamo dimenticare che le carezze danno sollievo all’anima ma sono cure che da sole non guariscono il corpo. Infatti, come ci ha ricordato Papa Francesco nella Laudato Si’ (n. 8-9), non possiamo affannarci solo nella ricerca di soluzioni tecnico-scientifiche che diminuiscano l’impatto ambientale delle nostre attività, dobbiamo anche innescare una rivoluzione etica nell’uomo che lo conduca “dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere”.
Dobbiamo dunque essere capaci di un cambiamento vero, di un’inversione di tendenza e lo dobbiamo fare attivandoci oltre i social, oltre gli schermi, andando nelle strade e nelle piazze come fecero 20 milioni di americani in quell’aprile del 1970. Anche nella città della nostra diocesi in questo weekend sono previste manifestazioni per celebrare la Giornata della Terra, viviamole anche noi, portando una carezza alla natura e cercando insieme di curare le sue ferite.
Marianna Puglisi