Riproponiamo qui di seguito i pensieri che Annamaria, presidente diocesana dell’Azione Cattolica di Acireale, ha voluto condividere con il consiglio diocesano:
Giorno 1:
Ciao a tutti. Stasera molte cose da dire, cercherò di abbreviare. Già dalle 7 molti hanno preso posto lungo il percorso del Papa. In cattedrale la delegazione cerca di stare insieme, ma il nostro perderci, cercarci e ritrovarci mi fa pensare che il nostro stare insieme è proprio voluto. Barbara ieri sera è caduta: oggi è in carrozzella in prima fila. L’avete vista quando Francesco le ha stretto la mano?
Usciamo dalla cattedrale e i volontari ci accompagnano alla fortezza da basso. La città fa ala al nostro passaggio e tutti sorridono, anche noi.
Allo stadio ci portano gli autobus cittadini. La metafora dello svuotamento: gli autobus per accogliere i convegnisti devono prima svuotarsi.
Allo stadio quando arriva il Papa tutti alzano i telefonini in alto per immortalare il momento, ma così nessuno lo vive con i propri occhi.
Sul discorso bellissimo non dico niente. Sicuramente avremo modo di approfondire. Solo un concetto: non siamo noi a riconoscere il volto di Dio negli uomini, ma è Lui a riconoscere sé stesso nell’uomo creato a sua immagine. Vi ricordate il Crocifisso che c’è a santa Croce tutto rovinato dall’alluvione? Quella è l’immagine di Gesù Cristo uomo nuovo: perché è in Croce ma è stato sommerso dall’acqua ed è sporco di fango ed è malandato.
All’uscita dallo stadio aspettiamo ancora il bus e stavolta siamo noi a fare ala ai fiorentini che tornano invece a piedi. Il Signore benedica questa città che ci ha accolto splendidamente. Grazie Firenze.
Giorno 2:
Dopo la giornata di ieri, calda in tutti i sensi: sole splendente ed entusiasmo alle stelle oggi si rientra nella quotidianità. Nuvole, temperatura più fresca e noi chiusi tutto il giorno in fortezza a lavorare in gruppo. Certo che è un bel controsenso stare chiusi in fortezza per parlare di una Chiesa in uscita. Ma c’è stata la gioia di ritrovarci insieme da nord a sud e c’è stata la fatica del costruire relazioni. E poi la quotidianità è una delle parole chiave della nostra associazione.
Eravamo come le centurie delle legioni romane: cento in una stanza in tavoli da dieci. Tre presidenti diocesani (Acireale, Taranto e Rossano) e poi Padova, Trieste, Molfetta, Verona, Brescia, Mazara e il vescovo di Terni.
La condivisione è sempre un atto di apertura verso l’altro, e un segno di carità.
Non sempre riesce facile esprimere i tuoi pensieri: pensi che siano sbagliati, confusi ,ininfluenti. Oppure che tu sei più bravo e più capace ed è inutile ascoltare gli altri. Ma è proprio qui che si costruisce il dialogo vero: mettendo in comune la nostra ricchezza e la nostra povertà e accogliendo quelle degli altri.
Abbiamo recitato i vespri nelle stanze a cento a cento e si sentiva anche il salmodiare provenire dalle altre stanze. Così è salita al cielo la nostra preghiera comune anche se eravamo separati.
Domani sarà un ritrovarci più confidenziale, perché ormai siamo amici.
Giorno 3:
La giornata di oggi comincia all’insegna dell’ecumenismo: un prete ortodosso e una pastora valdese ci propongono la riflessione spirituale sull’inno cristologico di filippesi 2.
Seguono i saluti del rabbino Joseph Levi e dell’imam che ci hanno ricordato le radici comuni dell’uomo creatura di Dio.
Poi andiamo ai nostri tavoli di lavoro e adesso siamo degli amici che condividono un cammino comune mentre ieri eravamo quasi estranei.
Pranziamo col nostro vescovo che ci ha espressamente chiesto di stare insieme con i delegati della sua diocesi.
Il pomeriggio è dedicato a un incontro con le varie realtà, religione e laiche , della città di Firenze e ognuno dei delegati ha scelto secondo le proprie preferenze. Io ho scelto le basiliche fiorentine e i vari presidenti delle fabbricerie ci hanno spiegato come fin dal medioevo autorità religiose e laiche collaborassero strettamente per rendere bella e ricca la città. E così la vita era completa in ogni suo aspetto, civile e religioso, con l’apporto di tutti. Dopo cena visita alla mostra di palazzo Strozzi che ci riempie gli occhi di “bellezza divina”.
Giorno 4:
Siamo alla fine, ma deve essere un nuovo inizio. Abbiamo tanto parlato delle cinque vie. Ma adesso dobbiamo cambiare prospettiva: invece di persone che prendono l’iniziativa e fanno cose dobbiamo essere persone che ricevono doni. Ecco delle vie alternative: essere chiamati fuori (come Lazzaro), cadere, essere rialzato, dipendere, essere amati. Quando ci hanno portato in autobus alla messa del papa ci sostenevamo a vicenda. Questo è essere Chiesa.
A proposito delle “fabbriche del duomo”, anche questa può essere una metafora del nostro essere Chiesa. Quelle grandiose basiliche, costruite a cominciare dal 1200, non sono mai arrivate alla completa conclusione della loro costruzione e anche adesso hanno bisogno di continua manutenzione. Anche la Chiesa fatta di persone è sempre in costruzione e ha bisogno continuo di rinnovamento. Ci sarà sempre una ferita da curare, altri fratelli da raggiungere, un tetto da riparare, un angolo buio da far risplendere.
Per questo c’è bisogno del lavoro e della partecipazione di tutti. Ciascun uomo, vicino o lontano, piccolo o grande, può e deve dare il suo contributo.
È proprio questo vuole essere il convegno di Firenze al quale abbiamo partecipato e che è appena terminato. Il contributo di ognuno di noi, provenienti da ogni diocesi d’Italia, da gruppi e associazioni diversi, ma insieme in cammino per riconoscere in ogni uomo che incontriamo il volto di Gesù Cristo uomo nuovo.
Per concludere il diario del convegno eccovi un’altra immagine della Chiesa presa in prestito dalla storia dell’arte: la meravigliosa pietà del duomo di Firenze, la Pietà di Michelangelo con Nicodemo, Maria e la Maddalena che era l’icona dell’Invito al convegno. Un Gesù che è abbandonato completamente e sorretto da un vecchio addolorato e da due donne. Così è la Chiesa, magari poche persone, magari non al meglio delle loro forze, ma disponibili a dare il loro contributo per sostenere chi ha bisogno.
Il gruppo marmoreo è anche danneggiato, rotto e riparato, ma è così che papa Francesco ci vuole: non perfetti, anche con qualche difetto, anche coi cerotti, ma sempre pronti alla testimonianza.